CURIOSITÀ: FLAT TAX: CONVENIENZA SÌ, MA OCCHIO AI MUTUI

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Il regime forfetario sostitutivo non considera le detrazioni IRPEF

Conviene aderire al nuovo regime forfetario previsto dalla manovra? È questa la domanda che quasi 400 mila tra titolari di ditte individuali, professionisti e artisti si sono dovuti fare nelle ultime settimane a seguito delle prove di flat taxstabilite dalla legge n. 145/2018. Mutui.it, in collaborazione con Facile.it ha cercato di capirlo scoprendo che i rischi, a ben guardare non sono trascurabili.

La risposta migliore da dare alla domanda con cui abbiamo cominciato, secondo quanto è emerso, sarebbe “generalmente sì, ma… dipende!”. Se è vero che i forfetari pagano meno imposte sui redditi derivanti dalla propria attività, è anche vero che aderendo alla flat tax potrebbero perdere tutte le agevolazioni normalmente concesse; addio quindi alle deduzioni per il coniuge e i familiari a carico, alle detrazioni per gli interessi sui mutui, per le spese mediche e anche per le ristrutturazioni edilizie.

Vediamo perché. A partire dal 1° gennaio 2019, l’accesso al regime agevolato è stato esteso a tutti i contribuenti che, titolari di una partita Iva, hanno conseguito nell’anno precedente ricavi o compensi non superiori a 65.000 euro.

Questo meccanismo consente di alleggerire le tasse dovute; invece di applicare l’IRPEF ordinaria (dal 23% al 41%), viene prevista un’imposta sostitutiva del 15%, su un reddito calcolato a forfait in percentuale sul fatturato.

Nella maggior parte dei casi il regime consente risparmi d’imposta significativi. Per fare un esempio, un giovane avvocato che realizza un fatturato di 35.000 euro, a fronte di 7.000 euro di costi sostenuti, può risparmiare circa 3.200 euro all’anno.

Si potrebbe pertanto supporre che la flat tax sia sempre e comunque più conveniente del regime ordinario, ma in realtà non è così, perché nel confronto bisogna tenere conto anche di altri fattori. Per esempio l’effettiva entità dei costi sostenuti dal contribuente; qualora questi siano superiori a quelli riconosciuti in misura forfettaria dalla legge, il vecchio regime di tassazione potrebbe risultare migliore.

Il vero ago della bilancia, tuttavia, è dato dall’impossibilità per i forfetari di beneficiare delle deduzioni e delle detrazioni che l’ordinamento riconosce alle persone fisiche. Poiché il regime forfetario è sostitutivo, in assenza di altri redditi imponibili (per esempio derivanti da lavoro dipendente, prestazioni occasionali, affitto di immobili), il reddito dichiarato dal contribuente ai fini IRPEF sarà pari a zero. Dal momento che deduzioni e detrazioni agiscono solo nel “mondo IRPEF”, ciò significa perdere il beneficio.

Come abbiamo anticipato, a venire meno sarebbero per esempio le detrazioni per il coniuge, i figli e gli altri familiari fiscalmente a carico, ma anche gli sconti fiscali previsti su determinate spese sostenute dal contribuente come, solo per citarne alcune, gli interessi passivi sui mutui (detraibili al 19%), i lavori di ristrutturazione edilizia (50%) o di riqualificazione energetica degli edifici (65%). Senza dimenticare spese mediche (19%) e altro ancora.

Torniamo al caso del giovane avvocato che sta valutando il transito nel regime forfetario. Ipotizziamo che abbia acceso un mutuo nel 2017 per l’acquisto e la ristrutturazione di un immobile, con interessi passivi di 4.000 euro (massimo consentito) e importo dei lavori di 60.000 euro. La detrazione sul mutuo è pari a a 760 euro (19% di 4.000), quella sulle ristrutturazioni a 3.000 euro (50% di 60.000, diviso in 10 rate annuali).

In questo caso la flat tax consente di risparmiare 3.165 euro di imposte, ma le detrazioni perse ammontano a 3.760 euro. Pertanto, prima di stabilire con certezza come comportarsi, è necessario considerare tutte le variabili e procedere a valutazioni attente caso per caso.

Il Cybercrime potrebbe costare alle aziende 5.200 miliardi di dollari nel corso dei prossimi cinque anni

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Secondo un nuovo studio di Accenture, solo il 30% delle società ha davvero fiducia nella sicurezza di Internet

A livello mondiale si stima che possano essere 5.200 miliardi di dollari i costi addizionali e i mancati ricavi delle aziende nel corso dei prossimi cinque anni dovuti ai cyber-attacchi, poiché la dipendenza da modelli di business abilitati da Internet è attualmente di gran lunga superiore all’abilità di introdurre misure di sicurezza adeguate in grado di proteggere asset strategici. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da Accenture.

Basato su un’indagine che ha coinvolto oltre 1.700 CEO e top manager di aziende in diversi paesi, il report intitolato Securing the Digital Economy: Reinventing the Internet for Trust esplora la complessità delle sfide legate a Internet che le aziende si trovano ad affrontare e delinea le azioni inderogabili per il ruolo in continua evoluzione dei CEO in ambito di tecnologia, business architecture e governance.

Secondo tale studio, il cybercrime con un’ampia gamma di attività fraudolente e dannose, pone sfide significative in quanto può compromettere le attività aziendali, la crescita e l’innovazione del business, nonché l’introduzione di nuovi prodotti e servizi, con un costo per le aziende di migliaia di miliardi di dollari. Il settore high-tech, con oltre 753 miliardi di dollari di costi emergenti, corre i rischi maggiori, seguito da life science e automotive, la cui esposizione ammonta rispettivamente a 642 e 505 miliardi di dollari.

“Il livello di sicurezza di Internet è inferiore rispetto al livello di sofisticazione raggiunto dalla criminalità informatica e questo sta portando ad un’erosione della fiducia nell’economia digitale” ha dichiarato Paolo Dal Cin, Security Lead di Accenture Italia. “Il rafforzamento della sicurezza su Internet richiede una leadership incisiva – e a volte non convenzionale – da parte dei CEO, non solo dei CISO[1]. Un primo passo da compiere per le aziende che vogliono diventare cyber-resilienti è quello di portare le competenze dei CISO nel consiglio di amministrazione, garantendo così che la sicurezza sia integrata sin dalla fase iniziale di qualunque iniziativa e tutti dirigenti aziendali si assumano la responsabilità della sicurezza e della riservatezza dei dati.”

Alcune delle principali considerazioni che emergono dall’indagine: quattro intervistati su cinque (79%) ritengono che il progresso dell’economia digitale sarà seriamente compromesso se non ci sarà un sostanziale miglioramento della sicurezza su Internet, mentre oltre la metà (59%) ritiene che Internet sia sempre più instabile sotto il profilo della cyber-sicurezza e non sa come reagire.

Al contempo, tre quarti degli intervistati (75%) ritengono che sia necessario uno sforzo congiunto per far fronte alle sfide in materia di cyber security, in quanto nessuna organizzazione è in grado di risolvere il problema da sola. Più della metà dei dirigenti (56%) si definisce sempre più preoccupata della sicurezza su Internet e vedrebbe con favore l’entrata in vigore di norme di business più rigorose introdotte da istituzioni o autorità governative.

“La rete Internet non è stata pensata e costruita considerando il livello di complessità e di connettività attuali. Ecco perché può bastare una singola vulnerabilità, all’interno o all’esterno delle mura aziendali, per subire un cyber-attacco dagli effetti devastanti”, ha dichiarato Dal Cin. “Nessuna organizzazione può affrontare da sola le sfide poste dalle minacce cyber; è un obiettivo globale che richiede una risposta globale e per il quale la collaborazione è la chiave. Per dare forma a un futuro che cresca su un’economia digitale forte e che funzioni in un clima di fiducia, il top management deve guardare oltre i confini della propria organizzazione, collaborare con un ecosistema di partner e proteggere la loro catena del valore nella sua interezza, considerando fornitori, clienti e ogni altra terza parte”.

La rapida ascesa delle nuove tecnologie sta creando nuove sfide, come testimoniato da quattro intervistati su cinque (79%), che ammettono di adottare tecnologie emergenti più rapidamente rispetto alla velocità con cui affrontano i relativi problemi di cyber security. Inoltre, i tre quarti di essi (76%) evidenziano che gli aspetti di sicurezza informatica sono sfuggiti al controllo a causa di nuove tecnologie come l’Internet of Things (IoT) e l’Industrial Internet of Things (IIoT). La maggioranza (80%) ha inoltre dichiarato che è sempre più difficile proteggere la propria organizzazione dalle vulnerabilità delle parti terze, il che non sorprende, data la complessità e la vastità attuale degli ecosistemi su Internet.

Un altro tema di interesse per molti dirigenti è la protezione dei dati dei clienti. Sulla scia dei timori legati alla sicurezza, il 76% degli intervistati ritiene che i consumatori non possano confidare nella sicurezza della propria identità digitale dal momento in cui molti dei loro dati personali sono già disponibili senza nessuna restrizione.

Azioni da intraprendere

Lo studio suggerisce ai CEO e agli altri dirigenti di alto livello tre azioni da intraprendere per migliorare la sicurezza digitale del loro business:

1. Governance: unire le forze con altre aziende partner e attivare una gestione a livello globale – Incrementare gli sforzi per collaborare con dirigenti di altre aziende, responsabili di governo e autorità di regolamentazione per definire come prevenire al meglio nuovi cyber-attacchi.

2. Business Architecture: connettere e proteggere le aziende tramite un modello basato sulla fiducia digitale – Indirizzare al meglio le basi della cyber-security. Proteggere tutte le attività di business lungo l’intero ecosistema di partner e fornitori.

3. Tecnologia: far progredire le attività di business e migliorare la sicurezza – Adottare nuove tecnologie, gestire al meglio la sicurezza dell’IoT e prepararsi per le sfide legate al quantum computing. Assicurarsi che la sicurezza dei software e le funzioni di aggiornamento siano integrate nei dispositivi mobili e IoT sin dalla loro progettazione.

Maggiori informazioni in merito alle azioni concrete e decisive da intraprendere per creare un’economia digitale affidabile sono disponibili all’interno del documento “Securing the Digital Economy: Reinventing the Internet for Trust” scaricabile dal sito internet www.accenture.com/ReinventTheInternet.

Metodologia

Tra ottobre e novembre 2018, Accenture Research ha intervistato 1.711 dirigenti di alto livello appartenenti a società che vantano ricavi annuali non inferiori a 1 miliardo di dollari con sede in 13 paesi: Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Le interviste in profondità hanno coinvolto le seguenti figure aziendali: CEO (61%), COO (20%), CIO (9%) e CSO (9%).

Moto storiche e assicurazioni: ecco le novità!

I NUOVI VANTAGGI – come annunciato da Federmoto.

• La formula assicurativa per più motoveicoli guadagna un nuovo vantaggio: i motoveicoli possono essere guidati da tutti. Non vige più l’obbligo di guida esclusivamente da parte del proprietario ma rimane attiva la limitazione che non permette la circolazione di più motoveicoli contemporaneamente.

• Per entrambe le formule assicurative (Convenzione per i singoli motoveicoli e Convenzione per più motoveicoli) la copertura può essere sospesa gratuitamente nei casi di vendita, demolizione, esportazione del motoveicolo all’estero o furto del motoveicolo. Sarà possibile scegliere se sostituire il motoveicolo in copertura con un altro che rispetti i criteri di adesione alla Convenzione o interrompere il contratto assicurativo.

• Per entrambe le formule assicurative la Classe Universale (CU) non concorre alla determinazione del premio: tuttavia ogni anno l’assicurato matura un attestato di rischio che gli permette di guadagnare CU e usufruire della classe assicurativa anche al di fuori della convenzione.

Guida in stato di ebbrezza

L’Avv. Gian Carlo Soave risponde:”Guida in stato di ebbrezza”

di ilbroker https://ilbroker.it

La Cassazione, con sentenza n. 51304/2018, ha affermato che bere due birre medie esclude la declaratoria di non punibilità ex art. 131 c.p. quando le circostanze di fatto sono tali da rendere l’intero quadro “pericoloso“: guidare di notte su una vettura ad alta velocità, circolando in una zona ad alta intensità di traffico, vicino ad importanti snodi stradali sono, dunque, elementi sufficienti per escludere la non punibilità.

Nel caso in esame un soggetto era stato condannato in primo e secondo grado per il reato all’art. 186 comma 2) lett. b) e comma 2 sexies C.d.S.

L’imputato ricorre in Cassazione lamentando l’errata valutazione delle cause ostative alla declaratoria di non punibilità (art. 131 bis c.p.) – le condizioni psicofisiche riportate nel verbale della polizia stradale attestanti la presenza di alito “vinoso” ed “occhi lucidi” – e la mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p.

Gli Ermellini non accolgono le doglianze del ricorrente e dichiarano il ricorso inammissibile in quanto “ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 comma 1 c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo”.

“Secondo la Cassazione la sentenza impugnata ha giudicato correttamente i fatti e applicato altrettanto adeguatamente i parametri richiesti dall’art. 133 c.p. “fra cui assumono particolare rilievo le modalità dell’azione, come la zona a traffico intenso e veloce, prossimo a snodi stradali importanti – considerando questi elementi quali moltiplicatori del rischio che la norma violata tende a scongiurare“.

Rileva, inoltre, il momento in cui l’imputato si è posto alla guida, visto che proprio in quel frangente egli era consapevole “di avere assunto una quantità di alcool ben superiore a quella consentita, come infatti ha ammesso nel corso del giudizio di appello (quando, ricorda la Corte, ha riferito di avere bevuto due birre medie e non una sola).”

Avv. Gian Carlo Soave.

Mutui: il 44,4% degli italiani è spaventato dallo spread

La mappa della preoccupazione

“Lei ha paura che lo spread possa incidere negativamente sulle sue finanze personali o su quelle della sua famiglia?” È questa la domanda che Facile.it e Mutui.it hanno fatto, attraverso l’istituto di ricerca mUp Research, ad un campione rappresentativo della popolazione adulta* e dalle risposte date emerge, senza ombra di dubbio, una grande preoccupazione; il 44,4% degli italiani (pari a oltre 19 milioni di individui) dichiara di essere preoccupato e di temere che l’andamento dello spread si ripercuota negativamente sulla propria economia familiare, ma i dati non si limitano a questo.

«Se chi ha già un mutuo può stare tranquillo» – spiega Ivano Cresto, Responsabile mutui di Facile.it – «chi si trova a chiederlo oggi ha davanti a sé una situazione molto differente. Sebbene la correlazione tra spread Btp-Bund e mutui non sia immediata e diretta, nel medio e lungo periodo un valore elevato del differenziale spinge verso l’alto lo spread – questa volta bancario – applicato dagli istituti di credito ai nuovi finanziamenti, aumentando il costo per il cliente. Il primo impatto si è iniziato a sentire ad ottobre, quando i tassi finali offerti da un buon numero di banche sono aumentati fra lo 0,10% e lo 0,30%. Tale aumento, sebbene lasci ancora tassi molto competitivi, su un piano di restituzione ventennale o magari ancora più lungo, si traduce in una differenza di migliaia di euro di interessi da pagare. Molti lo hanno già visto e questo spiega la loro preoccupazione».

Ad essere più preoccupati dalle possibili conseguenze dell’andamento dello spread sono i residenti nel Sud e nelle Isole(48,2%), seguiti da chi vive nel Nord Ovest (45,6%), mentre se si suddivide il campione per fasce d’età, i timori maggiori si registrano nella fascia 35-54 anni (47,3%); dato assolutamente comprensibile visto che è in questo periodo della vita che, soprattutto, si è responsabili delle economie familiari. Segmentando invece per genere, si dichiara preoccupato il 47,4% del campione maschile ed il 41,5% di quello femminile.

Lo Spread, questo sconosciuto

Nonostante siano protagonisti da mesi delle cronache, lo spread e il suo significato risultano ancora sconosciuti a molti. Scorrendo i dati dell’indagine commissionata da Facile.it e Mutui.it si scopre che quasi1.5 milioni di individui dichiarano di non sapere cosa sia lo spread.

Ad ignorare il significato (e le possibili conseguenze) dello spread sono soprattutto i giovani. A fronte di una media nazionale del 3,3%, se si guarda al campione 18-34 anni la percentuale di chi dichiara dinon sapere cosa sia lo spread sale al 7,3%. Una differenza importante che, tornando questa volta all’intero universo analizzato, si ritrova anche nel Nord Est, area del Paese in cui è all’oscuro del significato dello spread il 6% degli intervistati. Segmentando, in fine, per sesso, ad essere meno informate sono le donne 5,3% del campione, solo 1,3% fra gli uomini.

Auto senza assicurazione, stangata in arrivo per i furbetti

In pratica le sanzioni di base rimangono invariate (da 841 a 3.287 euro) ma chi viene “beccato” al volante di una vettura senza copertura RcAuto si vedrà decurtati 5 punti dalla patente (10 per i neopatentai). E nel caso di recidiva, in un periodo di due anni, si prevede il raddoppio delle sanzioni amministrative (da 1.682 euro a 6.574 euro), la sanzione amministrativa della sospensione della patente da uno a due mesi, oltre alla decurtazione di 5 punti dal permesso di guida per ogni violazione.

Marriott, violato il database: cosa è stato rubato e quali sono i rischi!

Fonte Il Sole 24 Ore

Marriott, la famosa catena di alberghi, ha ammesso che dei criminali informatici ancora sconosciuti hanno avuto accesso al loro database di prenotazioni Starwood a partire dal 2014 (ben due anni prima della sua acquisizione da parte di Marriott), estrapolando dati relativi a oltre 500 milioni di prenotazioni per un totale di circa 327 milioni di clienti.

Il database in oggetto raccoglie e gestisce le prenotazioni degli alberghi Starwood, W, St Regis, Sheraton Hotels & Resort, Westing Hotels & Resort, Element, Aloft, The Luxory Collection, Tribute Portfolio, Le Meridien Hotels & Resort, Four Points by Sheraton e Design. Gli altri hotel di proprietà Marriott non sono stati coinvolti, mentre chiunque abbia effettuato un soggiorno presso una delle strutture elencate dal 2014 fino al 10 settembre 2018 deve ritenere a rischio i suoi dati.

Ma esattamente cosa è stato rubato?
Secondo le informazioni date dall’azienda, il database violato ospitava per ogni utente il suo nome e cognome, indirizzo di posta elettronica, la password di accesso, il numero d telefono, la data di nascita, il genere, date di arrivo e partenza dalle strutture, le preferenze indicate nelle prenotazioni, il numero di SPG (Starwood Preferred Guest) e quello di passaporto o carta di identità. Non tutti i clienti hanno fornito i dati di tutti i campi, ma quelli obbligatori ci sono di sicuro. Inoltre, alcuni di alcuni clienti sono stati rubati anche i dettagli della carta di credito con numero e data di scadenza. Marriott specifica che i dati di pagamento (e solo quelli a quanto pare) sono protetti con una crittografia EAS-128 e che due componenti sono necessarie per decodificare i dati. Purtroppo, al momento non sanno dire se i pirati hanno avuto accesso a queste componenti o meno.

LA PROCURA DI NEW YORK INDAGA
Marriott, attacco hacker agli hotel: a rischio i dati di 500 milioni di clienti

Per cercare di rimediare al problema, Marriott sta dismettendo il database violato, implementando un nuovo sistema informatico di registrazione, probabilmente integrato con l’altro già essere. Alle persone preoccupate per il possibile furto dei propri dati, Marriott dà la possibilità di avvalersi senza costi del servizio WebWatcher, disponibile però solo in pochi paesi. Non andate a cercare questo servizio su un motore di ricerca perché la maggior parte dei risultati punta a finti servizi di tutela che invece mirano a installare malware. Usate, invece, i link presenti sulla pagina dedicata alla violazione, raggiungibile all’indirizzo info.starwoodhotels.com.

Al momento, non sembra che i dati siano ancora stati usati, ma non è sicuro se l’azienda sia al corrente del sistema usato dai criminali per entrare nei loro sistemi. La cosa migliore da fare è quella di cambiare le password di accesso al sito di Starwood, scegliendone una che non sia facile indovinare. In Italia è stato attivato un numero verde (800-728-023) che può fornire maggiori informazioni sull’incidente man mano che vengono scoperte.

Chi ha rubato dati?
La violazione è stata scoperta da relativamente poco e quindi si stanno ancora svolgendo le indagini. Di conseguenza non ci sono indicazioni su chi abbia rubato i dati. Le ipotesi al momento sono tutte valide perché la mole di informazioni che è stata copiata è davvero notevole e potrebbe interessare sia a normali gruppi di criminali informatici, sia a hacker governativi impegnati in attività di spionaggio che si ritroverebbero per le mani la mappa degli spostamenti di personaggi di spicco di molti settori, da quello governativo a quello economico/industriale.

Quali sono i veri rischi per i clienti Starwood?
A causa della grande mole di dati rubata, il rischio di subire un furto di identità è concreto. Avendo in mano dalla carta d’identità o passaporto a date di nascita e indirizzi postali, i criminali possono sostituirsi a chiunque nella creazione di tessere telefoniche, ordinare merci, richiedere prestiti e così via. Bisogna stare molto attenti a eventuali messaggi che ci facciano capire che qualcuno stia operando a nostra insaputa con la nostra identità. Inoltre, è probabile che alcuni gruppi di criminali cercheranno di sfruttare l’opportunità per inviare mail di phishing che fanno riferimento a questa violazione. Non cliccate su nulla di sospetto e usate il call center prima di inviare ulteriori dati online.

Osservatorio risk management nelle medie imprese italiane: le aziende con un sistema evoluto di gestione dei rischi sono raddoppiate negli ultimi 3 anni

Secondo Massimo Michaud, Presidente di Cineas, Consorzio universitario non profit fondato dal Politecnico di Milano nel 1987: “Dai risultati della ricerca emerge che la gestione integrata dei rischi caratterizza le imprese più performanti sul mercato”. A livello geografico le regioni del nord-est si classificano nelle prime posizioni per l’attenzione ai rischi; mentre tra i settori il chimico-farmaceutico e l’alimentare si distinguono per essere virtuosi.

Milano, 6 novembre 2018 – La novità del 2018 è che le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% nel 2018. La conferma è che continua ad evidenziarsi una correlazione positiva tra performance economiche e gestione integrata dei rischi: oltre un terzo di ritorni in più (+34% Return on Investment – ROI e +39% di Return on Equity – ROE) per le aziende attente ai rischi. Inoltre, è una buona notizia che, nello stesso periodo, la percentuale di aziende sprovviste di un sistema di gestione dei rischi è passata da quasi il 20% a circa il 6%.

Sono i risultati della VI ed. dell’Osservatorio Cineas-Mediobanca sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane, ricerca annuale che nel 2018 ha avuto 308 aziende rispondenti attive nei settori: alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico. Il fatturato medio delle aziende rispondenti è di 58,2 milioni di euro con 151 dipendenti.
La ricerca viene presentata oggi al Politecnico di Milano.

A livello geografico le aziende più virtuose si trovano nel nord est d’Italia, seguite dal nord ovest e dal centro, mentre emerge un significativo ritardo delle aree meridionali. Un’impresa su tre del Mezzogiorno non dispone di un adeguato presidio del rischio, contro la media nazionale di una su cinque imprese. I settori più virtuosi sono il chimico-farmaceutico e l’alimentare.

“La nostra ricerca ci ha permesso di sottolineare come il governo dell’impresa debba ricomprendere la gestione dei rischi – commenta il Presidente di Cineas, Massimo Michaud –. Le aziende più attente alla gestione del rischio guadagnano di più e sono più propense all’innovazione. In particolare, è importante che il management sia edotto sui rischi operativi dell’azienda in quanto nel 57% dei casi è responsabile di questa funzione. La gestione del rischio esce dalla sfera delle funzioni specialistiche per permeare l’attività dell’impresa nel suo complesso”.

LA RASSEGNA DEI RISCHI ESAMINATI DALLA RICERCA: DAL PASSAGGIO GENERAZIONALE AL CYBER RISK

Il passaggio generazionale. Il passaggio generazionale è considerato come un fattore di elevata criticità dall’80% delle aziende intervistate. Le MI italiane del campione hanno quasi 50 anni di storia imprenditoriale e vedono alla guida più frequentemente la seconda generazione (41,3% dei casi) e la prima generazione (34,9%).

Governance “aperta”, performance migliore. La maggioranza dei CEO (81%) proviene dalla famiglia proprietaria dell’azienda, ma con il progredire delle generazioni aumenta la probabilità di assunzione di un CEO esterno alla famiglia, che in genere è più giovane e, più frequentemente, ha un grado di istruzione universitaria. Questo modello di governance “aperta” porta performance economiche migliori, rispetto alle aziende dove permane la sovrapposizione tra proprietà e gestione familiare (ROI: 13,2% vs 10,2%).

Le imprese italiane e Industry 4.0. In tema di innovazione l’indagine ha preso in esame le azioni intraprese dalle aziende per sfruttare le opportunità derivanti da Industry 4.0. Solo il 23,2% delle imprese ha investito sia nell’innovazione dei macchinari che dei processi, mentre il 36% delle imprese non ha ancora attuato nessun tipo di trasformazione. I dati evidenziano che le imprese che si sono attivate per l’adozione delle innovazioni tecnologiche hanno performance economiche migliori di quelle che sono indifferenti o in ritardo rispetto a Industry 4.0. Una quota notevole di imprese che si è cimentata con Industry 4.0 (30%), lo ha fatto dotandosi delle skills necessarie tramite piani di formazione interna (già realizzati o in programma per il 77,7% dei rispondenti) o tramite acquisizione di risorse esterne specializzate (20%). “In questo rinnovato scenario si evidenzia la sempre maggiore centralità che stanno assumendo i cosiddetti asset intangibili – intendendo con questa espressione il know how, il valore del brand, la reputazione, gli investimenti nella formazione – per le performance dell’impresa” osserva Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca commentando i risultati della ricerca.

Rilevanza e impatto economico dei singoli profili di rischio. Nella gestione dell’azienda i rischi derivanti dagli obblighi normativi figurano stabilmente tra le preoccupazioni prioritarie delle imprese (sicurezza sul lavoro e difettosità del prodotto). Al quarto posto troviamo il rischio reputazionale. Rispetto a quest’ultimo profilo il 57% delle imprese ritiene il rischio reputazionale non assicurabile; inoltre, rispetto a tale rischio le aziende percepiscono un divario tra esposizione ed efficacia delle attività con cui esso è presidiato.

Risorse coinvolte nel sistema di gestione dei rischi. Solo il 16,4% delle aziende impiega unicamente risorse interne per la gestione dei rischi, mentre nell’82,3% dei casi l’azienda ricorre all’affiancamento di un partner esterno. L’imprenditore si rivolge nel 37,7% dei casi a consulenti d’impresa, nel 27,1% ai broker e solo nel 17,5% dei casi alle assicurazioni.

I rischi e la loro assicurabilità. Vi sono alcuni rischi che le imprese percepiscono come non assicurabili, tra i quali ad esempio il rischio di danno ambientale (rispetto al quale sono assicurate il 58% delle imprese). Il ricorso all’assicurazione coinvolge meno di un terzo degli intervistati per i seguenti rischi: business continuity e supply chain (il 32% delle imprese è assicurato), cyber risk (23% di imprese assicurate), tutela delle competenze professionali ex aequo con il rischio reputazionale (19% di assicurati) e imitazione del prodotto (13%). La causa del basso ricorso all’assicurazione è duplice: da una parte la mancata conoscenza dell’offerta assicurativa, dall’altra la percezione che l’evento dannoso abbia una bassa probabilità di verificarsi. Il costo delle polizze non sembra invece rappresentare il motivo principale della rinuncia (solo 25% dei casi).

Formazione sulla gestione del risk management. Secondo la ricerca, il 70% delle imprese prevede di realizzare corsi sul tema della gestione dei rischi rivolti principalmente a figure operative dell’azienda. “Tuttavia vista la centralità dell’argomento per la governance è opportuno valutare il coinvolgimento del management aziendale” conclude il Presidente di Cineas.

AUTORI E PARTNER DELLA RICERCA: OSSERVATORIO SULLA DIFFUSIONE DEL RISK MANAGEMENT NELLE MEDIE IMPRESE ITALIANE
L’indagine – realizzata annualmente da Cineas in collaborazione con l’Ufficio Studi Mediobanca – nel 2018 è condotta con i seguenti partner: le compagnie assicurative Helvetia e Reale Mutua; la Società di brokeraggio Mansutti; la Società di bonifica e ripristino Benpower e la Società peritale C&P.

La redazione https://ilbroker.it

Nuovo attacco Cyber di Anonymous Italia: bucati ministeri, polizia e partiti

7 novembre 2018 di ilbroker

dal Corriere della Sera Link

Nell’ultima azione in memoria del loro protagonista il personaggio a cui gli hacker si ispirano – Guy Fawkes – del 5 novembre, gli hacker mascherati violano decine di istituzioni e organizzazioni, compresi Lega e Partito Democratico.

Il peggiore attacco è forse stato quello di sabato 3 novembre, che ha preso di mira il Comune di Palermo, insieme al Consiglio Regionale della Sardegna e alla Provincia di Arezzo. Ben prima erano stati resi noti i dati conservati dal Sistema Sanitario Sardegna, dalla Federazione Italiana Medici Medicina Generale Pisa, dall’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico. Come è evidente, si tratta sempre di una divulgazione alla massa di informazioni che riguardano i cittadini, spesso vittime ignare di simili iniziative.

Crollo Ponte di Genova: Danni diretti e indiretti

Quanto sia importante per le aziende essere assicurate bene e soprattutto sia per danni diretti che quelli indiretti lo si evince da questo articolo.

I danni subiti da imprese e professionisti causati dal crollo di Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto scorso ammontano a oltre 422 mln di euro.

Lo comunica la Camera di Commercio che ha terminato la ricognizione sulle 2058 segnalazioni di danni. È questa la prima fotografia che emerge dalla ricognizione dei danni diretti e indiretti subiti da imprese e professionisti genovesi. I dati sono stati raccolti e elaborati a partire dai modelli predisposti per il crollo del ponte che consentivano di segnalare non solo i danni diretti a immobili, fabbricati, macchinari e scorte ma anche i danni indiretti come il mancato guadagno, gli oneri aggiuntivi di personale, della logistica dell’azienda o di altro genere.

Secondo i dati raccolti da camera di Commercio, il totale generale dei danni subiti dalle imprese e dai professionisti operanti in provincia di Genova dopo il crollo del ponte è di 422.104.708,32 euro. Di questi, 62.984.499,16 euro sono danni diretti e 359.120.209,16 danni indiretti.

Fonte: ANSA