CURIOSITÀ: FLAT TAX: CONVENIENZA SÌ, MA OCCHIO AI MUTUI

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Il regime forfetario sostitutivo non considera le detrazioni IRPEF

Conviene aderire al nuovo regime forfetario previsto dalla manovra? È questa la domanda che quasi 400 mila tra titolari di ditte individuali, professionisti e artisti si sono dovuti fare nelle ultime settimane a seguito delle prove di flat taxstabilite dalla legge n. 145/2018. Mutui.it, in collaborazione con Facile.it ha cercato di capirlo scoprendo che i rischi, a ben guardare non sono trascurabili.

La risposta migliore da dare alla domanda con cui abbiamo cominciato, secondo quanto è emerso, sarebbe “generalmente sì, ma… dipende!”. Se è vero che i forfetari pagano meno imposte sui redditi derivanti dalla propria attività, è anche vero che aderendo alla flat tax potrebbero perdere tutte le agevolazioni normalmente concesse; addio quindi alle deduzioni per il coniuge e i familiari a carico, alle detrazioni per gli interessi sui mutui, per le spese mediche e anche per le ristrutturazioni edilizie.

Vediamo perché. A partire dal 1° gennaio 2019, l’accesso al regime agevolato è stato esteso a tutti i contribuenti che, titolari di una partita Iva, hanno conseguito nell’anno precedente ricavi o compensi non superiori a 65.000 euro.

Questo meccanismo consente di alleggerire le tasse dovute; invece di applicare l’IRPEF ordinaria (dal 23% al 41%), viene prevista un’imposta sostitutiva del 15%, su un reddito calcolato a forfait in percentuale sul fatturato.

Nella maggior parte dei casi il regime consente risparmi d’imposta significativi. Per fare un esempio, un giovane avvocato che realizza un fatturato di 35.000 euro, a fronte di 7.000 euro di costi sostenuti, può risparmiare circa 3.200 euro all’anno.

Si potrebbe pertanto supporre che la flat tax sia sempre e comunque più conveniente del regime ordinario, ma in realtà non è così, perché nel confronto bisogna tenere conto anche di altri fattori. Per esempio l’effettiva entità dei costi sostenuti dal contribuente; qualora questi siano superiori a quelli riconosciuti in misura forfettaria dalla legge, il vecchio regime di tassazione potrebbe risultare migliore.

Il vero ago della bilancia, tuttavia, è dato dall’impossibilità per i forfetari di beneficiare delle deduzioni e delle detrazioni che l’ordinamento riconosce alle persone fisiche. Poiché il regime forfetario è sostitutivo, in assenza di altri redditi imponibili (per esempio derivanti da lavoro dipendente, prestazioni occasionali, affitto di immobili), il reddito dichiarato dal contribuente ai fini IRPEF sarà pari a zero. Dal momento che deduzioni e detrazioni agiscono solo nel “mondo IRPEF”, ciò significa perdere il beneficio.

Come abbiamo anticipato, a venire meno sarebbero per esempio le detrazioni per il coniuge, i figli e gli altri familiari fiscalmente a carico, ma anche gli sconti fiscali previsti su determinate spese sostenute dal contribuente come, solo per citarne alcune, gli interessi passivi sui mutui (detraibili al 19%), i lavori di ristrutturazione edilizia (50%) o di riqualificazione energetica degli edifici (65%). Senza dimenticare spese mediche (19%) e altro ancora.

Torniamo al caso del giovane avvocato che sta valutando il transito nel regime forfetario. Ipotizziamo che abbia acceso un mutuo nel 2017 per l’acquisto e la ristrutturazione di un immobile, con interessi passivi di 4.000 euro (massimo consentito) e importo dei lavori di 60.000 euro. La detrazione sul mutuo è pari a a 760 euro (19% di 4.000), quella sulle ristrutturazioni a 3.000 euro (50% di 60.000, diviso in 10 rate annuali).

In questo caso la flat tax consente di risparmiare 3.165 euro di imposte, ma le detrazioni perse ammontano a 3.760 euro. Pertanto, prima di stabilire con certezza come comportarsi, è necessario considerare tutte le variabili e procedere a valutazioni attente caso per caso.

Mutui: il 44,4% degli italiani è spaventato dallo spread

La mappa della preoccupazione

“Lei ha paura che lo spread possa incidere negativamente sulle sue finanze personali o su quelle della sua famiglia?” È questa la domanda che Facile.it e Mutui.it hanno fatto, attraverso l’istituto di ricerca mUp Research, ad un campione rappresentativo della popolazione adulta* e dalle risposte date emerge, senza ombra di dubbio, una grande preoccupazione; il 44,4% degli italiani (pari a oltre 19 milioni di individui) dichiara di essere preoccupato e di temere che l’andamento dello spread si ripercuota negativamente sulla propria economia familiare, ma i dati non si limitano a questo.

«Se chi ha già un mutuo può stare tranquillo» – spiega Ivano Cresto, Responsabile mutui di Facile.it – «chi si trova a chiederlo oggi ha davanti a sé una situazione molto differente. Sebbene la correlazione tra spread Btp-Bund e mutui non sia immediata e diretta, nel medio e lungo periodo un valore elevato del differenziale spinge verso l’alto lo spread – questa volta bancario – applicato dagli istituti di credito ai nuovi finanziamenti, aumentando il costo per il cliente. Il primo impatto si è iniziato a sentire ad ottobre, quando i tassi finali offerti da un buon numero di banche sono aumentati fra lo 0,10% e lo 0,30%. Tale aumento, sebbene lasci ancora tassi molto competitivi, su un piano di restituzione ventennale o magari ancora più lungo, si traduce in una differenza di migliaia di euro di interessi da pagare. Molti lo hanno già visto e questo spiega la loro preoccupazione».

Ad essere più preoccupati dalle possibili conseguenze dell’andamento dello spread sono i residenti nel Sud e nelle Isole(48,2%), seguiti da chi vive nel Nord Ovest (45,6%), mentre se si suddivide il campione per fasce d’età, i timori maggiori si registrano nella fascia 35-54 anni (47,3%); dato assolutamente comprensibile visto che è in questo periodo della vita che, soprattutto, si è responsabili delle economie familiari. Segmentando invece per genere, si dichiara preoccupato il 47,4% del campione maschile ed il 41,5% di quello femminile.

Lo Spread, questo sconosciuto

Nonostante siano protagonisti da mesi delle cronache, lo spread e il suo significato risultano ancora sconosciuti a molti. Scorrendo i dati dell’indagine commissionata da Facile.it e Mutui.it si scopre che quasi1.5 milioni di individui dichiarano di non sapere cosa sia lo spread.

Ad ignorare il significato (e le possibili conseguenze) dello spread sono soprattutto i giovani. A fronte di una media nazionale del 3,3%, se si guarda al campione 18-34 anni la percentuale di chi dichiara dinon sapere cosa sia lo spread sale al 7,3%. Una differenza importante che, tornando questa volta all’intero universo analizzato, si ritrova anche nel Nord Est, area del Paese in cui è all’oscuro del significato dello spread il 6% degli intervistati. Segmentando, in fine, per sesso, ad essere meno informate sono le donne 5,3% del campione, solo 1,3% fra gli uomini.

Osservatorio risk management nelle medie imprese italiane: le aziende con un sistema evoluto di gestione dei rischi sono raddoppiate negli ultimi 3 anni

Secondo Massimo Michaud, Presidente di Cineas, Consorzio universitario non profit fondato dal Politecnico di Milano nel 1987: “Dai risultati della ricerca emerge che la gestione integrata dei rischi caratterizza le imprese più performanti sul mercato”. A livello geografico le regioni del nord-est si classificano nelle prime posizioni per l’attenzione ai rischi; mentre tra i settori il chimico-farmaceutico e l’alimentare si distinguono per essere virtuosi.

Milano, 6 novembre 2018 – La novità del 2018 è che le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% nel 2018. La conferma è che continua ad evidenziarsi una correlazione positiva tra performance economiche e gestione integrata dei rischi: oltre un terzo di ritorni in più (+34% Return on Investment – ROI e +39% di Return on Equity – ROE) per le aziende attente ai rischi. Inoltre, è una buona notizia che, nello stesso periodo, la percentuale di aziende sprovviste di un sistema di gestione dei rischi è passata da quasi il 20% a circa il 6%.

Sono i risultati della VI ed. dell’Osservatorio Cineas-Mediobanca sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane, ricerca annuale che nel 2018 ha avuto 308 aziende rispondenti attive nei settori: alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico. Il fatturato medio delle aziende rispondenti è di 58,2 milioni di euro con 151 dipendenti.
La ricerca viene presentata oggi al Politecnico di Milano.

A livello geografico le aziende più virtuose si trovano nel nord est d’Italia, seguite dal nord ovest e dal centro, mentre emerge un significativo ritardo delle aree meridionali. Un’impresa su tre del Mezzogiorno non dispone di un adeguato presidio del rischio, contro la media nazionale di una su cinque imprese. I settori più virtuosi sono il chimico-farmaceutico e l’alimentare.

“La nostra ricerca ci ha permesso di sottolineare come il governo dell’impresa debba ricomprendere la gestione dei rischi – commenta il Presidente di Cineas, Massimo Michaud –. Le aziende più attente alla gestione del rischio guadagnano di più e sono più propense all’innovazione. In particolare, è importante che il management sia edotto sui rischi operativi dell’azienda in quanto nel 57% dei casi è responsabile di questa funzione. La gestione del rischio esce dalla sfera delle funzioni specialistiche per permeare l’attività dell’impresa nel suo complesso”.

LA RASSEGNA DEI RISCHI ESAMINATI DALLA RICERCA: DAL PASSAGGIO GENERAZIONALE AL CYBER RISK

Il passaggio generazionale. Il passaggio generazionale è considerato come un fattore di elevata criticità dall’80% delle aziende intervistate. Le MI italiane del campione hanno quasi 50 anni di storia imprenditoriale e vedono alla guida più frequentemente la seconda generazione (41,3% dei casi) e la prima generazione (34,9%).

Governance “aperta”, performance migliore. La maggioranza dei CEO (81%) proviene dalla famiglia proprietaria dell’azienda, ma con il progredire delle generazioni aumenta la probabilità di assunzione di un CEO esterno alla famiglia, che in genere è più giovane e, più frequentemente, ha un grado di istruzione universitaria. Questo modello di governance “aperta” porta performance economiche migliori, rispetto alle aziende dove permane la sovrapposizione tra proprietà e gestione familiare (ROI: 13,2% vs 10,2%).

Le imprese italiane e Industry 4.0. In tema di innovazione l’indagine ha preso in esame le azioni intraprese dalle aziende per sfruttare le opportunità derivanti da Industry 4.0. Solo il 23,2% delle imprese ha investito sia nell’innovazione dei macchinari che dei processi, mentre il 36% delle imprese non ha ancora attuato nessun tipo di trasformazione. I dati evidenziano che le imprese che si sono attivate per l’adozione delle innovazioni tecnologiche hanno performance economiche migliori di quelle che sono indifferenti o in ritardo rispetto a Industry 4.0. Una quota notevole di imprese che si è cimentata con Industry 4.0 (30%), lo ha fatto dotandosi delle skills necessarie tramite piani di formazione interna (già realizzati o in programma per il 77,7% dei rispondenti) o tramite acquisizione di risorse esterne specializzate (20%). “In questo rinnovato scenario si evidenzia la sempre maggiore centralità che stanno assumendo i cosiddetti asset intangibili – intendendo con questa espressione il know how, il valore del brand, la reputazione, gli investimenti nella formazione – per le performance dell’impresa” osserva Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca commentando i risultati della ricerca.

Rilevanza e impatto economico dei singoli profili di rischio. Nella gestione dell’azienda i rischi derivanti dagli obblighi normativi figurano stabilmente tra le preoccupazioni prioritarie delle imprese (sicurezza sul lavoro e difettosità del prodotto). Al quarto posto troviamo il rischio reputazionale. Rispetto a quest’ultimo profilo il 57% delle imprese ritiene il rischio reputazionale non assicurabile; inoltre, rispetto a tale rischio le aziende percepiscono un divario tra esposizione ed efficacia delle attività con cui esso è presidiato.

Risorse coinvolte nel sistema di gestione dei rischi. Solo il 16,4% delle aziende impiega unicamente risorse interne per la gestione dei rischi, mentre nell’82,3% dei casi l’azienda ricorre all’affiancamento di un partner esterno. L’imprenditore si rivolge nel 37,7% dei casi a consulenti d’impresa, nel 27,1% ai broker e solo nel 17,5% dei casi alle assicurazioni.

I rischi e la loro assicurabilità. Vi sono alcuni rischi che le imprese percepiscono come non assicurabili, tra i quali ad esempio il rischio di danno ambientale (rispetto al quale sono assicurate il 58% delle imprese). Il ricorso all’assicurazione coinvolge meno di un terzo degli intervistati per i seguenti rischi: business continuity e supply chain (il 32% delle imprese è assicurato), cyber risk (23% di imprese assicurate), tutela delle competenze professionali ex aequo con il rischio reputazionale (19% di assicurati) e imitazione del prodotto (13%). La causa del basso ricorso all’assicurazione è duplice: da una parte la mancata conoscenza dell’offerta assicurativa, dall’altra la percezione che l’evento dannoso abbia una bassa probabilità di verificarsi. Il costo delle polizze non sembra invece rappresentare il motivo principale della rinuncia (solo 25% dei casi).

Formazione sulla gestione del risk management. Secondo la ricerca, il 70% delle imprese prevede di realizzare corsi sul tema della gestione dei rischi rivolti principalmente a figure operative dell’azienda. “Tuttavia vista la centralità dell’argomento per la governance è opportuno valutare il coinvolgimento del management aziendale” conclude il Presidente di Cineas.

AUTORI E PARTNER DELLA RICERCA: OSSERVATORIO SULLA DIFFUSIONE DEL RISK MANAGEMENT NELLE MEDIE IMPRESE ITALIANE
L’indagine – realizzata annualmente da Cineas in collaborazione con l’Ufficio Studi Mediobanca – nel 2018 è condotta con i seguenti partner: le compagnie assicurative Helvetia e Reale Mutua; la Società di brokeraggio Mansutti; la Società di bonifica e ripristino Benpower e la Società peritale C&P.

La redazione https://ilbroker.it

Crollo Ponte di Genova: Danni diretti e indiretti

Quanto sia importante per le aziende essere assicurate bene e soprattutto sia per danni diretti che quelli indiretti lo si evince da questo articolo.

I danni subiti da imprese e professionisti causati dal crollo di Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto scorso ammontano a oltre 422 mln di euro.

Lo comunica la Camera di Commercio che ha terminato la ricognizione sulle 2058 segnalazioni di danni. È questa la prima fotografia che emerge dalla ricognizione dei danni diretti e indiretti subiti da imprese e professionisti genovesi. I dati sono stati raccolti e elaborati a partire dai modelli predisposti per il crollo del ponte che consentivano di segnalare non solo i danni diretti a immobili, fabbricati, macchinari e scorte ma anche i danni indiretti come il mancato guadagno, gli oneri aggiuntivi di personale, della logistica dell’azienda o di altro genere.

Secondo i dati raccolti da camera di Commercio, il totale generale dei danni subiti dalle imprese e dai professionisti operanti in provincia di Genova dopo il crollo del ponte è di 422.104.708,32 euro. Di questi, 62.984.499,16 euro sono danni diretti e 359.120.209,16 danni indiretti.

Fonte: ANSA

L’Avv. Gian Carlo Soave risponde: “Risarcimento e buche stradali”

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Si segnala che secondo l’orientamento della Cassazione il risarcimento danni provocato da eventi riconducibili alla presenza di buche stradali è dovuto solo ove la buca non sia stata segnalata o se l’utente non poteva evitarla o avvistarla in alcun modo; nulla è dovuto se il custode prova il caso fortuito rappresentato anche dalla imprudente condotta dell’utente della strada.

Sono due le norme che rilevano in materia di responsabilità del custode: l’art 2051 c.c – che contiene una presunzione di responsabilità dell’ente proprietario che deve custodire la strada in modo che non sia di pregiudizio ai suoi utenti – e l’art. 2043 c.c. in forza del quale il custode è responsabile se la buca rappresenta un’insidia stradale, in quanto non era né prevedibile, né evitabile da parte di chi circolava in quel tratto.

A seguire si evidenzia la giurisprudenza di legittimità in materia.

Con ordinanza n. 12032/2018 la Cassazione ha affermato che “il caso fortuito idoneo a fare venire meno la responsabilità del custode può essere costituito anche dal comportamento colposo del danneggiato”.

In tal senso anche l’ordinanza n. 6034/2018 secondo la quale “nella categoria delle cause di esclusione della responsabilità oggettiva per danno da cose, la condotta del danneggiato che entri in interazione con queste si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., primo comma: quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione – oggetto di dovere generale riconducibile all’art. 2 Cost. e comunque rispondente ad un’esigenza di ragionevole regolazione della propria condotta – delle cautele da parte dello stesso danneggiato normalmente attese in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso“.

Ed ancora aderiscono al medesimo orientamento l’ordinanza n. 2298/2018 e la n. 7887/2018.

La prima ha respinto il ricorso di proprietario e conducente di un ciclomotore avverso la sentenza di secondo grado che “affermata la prevedibilità della buca e ricondotto esclusivamente all’imprudente condotta di guida del conducente il suo mancato avvistamento, ha coerentemente escluso la ricorrenza degli elementi della non prevedibilità e la non visibilità del pericolo- necessari ad integrare l’insidia stradale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (sulla base dell’inquadramento compiuto dal primo giudice e non contestato in sede di gravame); né le censure relative all’erroneità del richiamo all’art. 149 C.d.S. e alla supposizione che le vetture che precedevano il ciclomotore avessero un’«andatura non lineare» valgono a incrinare la sostanziale coerenza di una motivazione che è basata sulla prevedibilità dell’esistenza di buche stradali e sulla possibilità di avvistarle con una condotta di guida più attenta alle condizioni del manto stradale (tenuto conto anche dell’ampiezza dell’avvallamento e dell’orario «centro-diurno» in cui si era verificato il sinistro).”

La seconda ha affermato che non si ha insidia stradale se l’evento lesivo è provocato da “una buca poco profonda, di modeste dimensioni, tale da poter essere evitata prestando una semplice attenzione nel camminare“.

Ne consegue che il risarcimento del danno dovuto alla presenza di buca presente sul manto stradale spetta se l’ente proprietario o il gestore della strada non abbia provveduto a segnalare o a riparare la buca, contravvenendo agli obblighi di manutenzione.

Nessun risarcimento è dovuto se la buca si è formata per un evento atmosferico o per un fenomeno imprevedibile e inevitabile da parte dell’ente – che il custode ha l’onere di provare – o se l’utente nel circolare non si attenga alle regole di comune diligenza.

Avv. Gian Carlo Soave.

Classifica dei 100 top manager: in crescita Elkann, Ruffini, Bono, i Doris e Squinzi

2 agosto 2018 di ilbroker

La classifica Top Manager Reputation, l’osservatorio permanente realizzato da Reputation Manager, che ogni mese monitora la reputazione online delle figure apicali delle principali aziende italiane, relativa al mese di giugno, vede al primo posto Sergio Marchionne che fino a poco tempo prima della sua improvvisa scomparsa ha come di consueto animato il dibattito online grazie ai risultati conseguiti e ai piani per il futuro di FCA. Il manager a giugno totalizza un punteggio di 81,54, il più alto di sempre, in crescita di 2,13 punti rispetto alla rilevazione precedente. In primo piano per la sua identità digitale il riscontro positivo da parte di media e mercati dopo la presentazione del piano industriale, l’annuncio dell’azzeramento del debito di FCA e i piani di investimento nell’elettrico. Contenuti positivi inoltre riguardano l’annuncio del manager sull’arrivo del Suv Ferrari nei prossimi due anni e i risultati senza precedenti per Jeep, protagonista di una grande strategia di rilancio voluta da Marchionne, che ha sottolineato la crescita del marchio nel corso della cerimonia in cui è stata data in comodato d’uso gratuito all’Arma dei Carabinieri una Jeep Wrangler attrezzata per lavorare in spiaggia. Si è trattato della sua ultima apparizione pubblica.

Urbano Cairo è stabile al secondo posto con un punteggio di 74,35 (-0,65). L’identità digitale del manager è sempre caratterizzata da un’ottima articolazione di notizie ed eventi rilevanti:

• Risultati finanziari 2017 positivi per il Torino

• “La7 Roadshow” per raccontare ii risultati positivi di La7

• Sesto anniversario di F

• “Fuorigioco”, nuovo supplemento estivo della Gazzetta

Francesco Starace, AD di Enel, è in terza posizione con un punteggio di 67,45 (+0,53). Il manager, recentemente nominato Cavaliere del Lavoro, ha siglato due importanti risultati per Enel in America Latina:

• Conquista di Eletropaulo, la prima società di distribuzione elettrica del Brasile, con il 70% dei consensi degli azionisti sulla sull’opa di Enel.

• Acquisto del 21% di Unifit, il maggiore operatore di fibra ottica sudamericano

In crescita

John Elkan, Presidente di Fca, guadagna una posizione arrivando al quarto posto con un punteggio di 61,92 e un incremento di 3,79 punti. La sua reputazione è consolidata dai contenuti positivi relativi a:

• Azzeramento del debito di Fca e previsioni di Elkann sul “futuro luminoso”

• Lancio di Exor Seeds un fondo di venture capital da 100 milioni di dollari che investirà in startup tecnologiche

• Fondazione Agnelli fa nascere la scuola per imprenditori innovativi al Politecnico di Torino

Remo Ruffini, Presidente e AD di Moncler, sale al sesto posto guadagnando una posizione e realizzando un punteggio di 58 con un incremento di 3,07 punti, grazie soprattutto all’accelerata del titolo Moncler che da inizio anno segna un balzo del 58% dopo le dichiarazioni del manager sugli ottimi risultati del gruppo che “sta andando bene ovunque con sviluppo “double digit” sui mercati principali”. Ruffini, nominato Cavaliere del Lavoro, è tornato inoltre a parlare del progetto Genius, svelato per la prima volta a febbraio durante la fashion week di Milano, il modello “moda a tempo zero” che annulla le stagioni prevedendo una produzione di nuovi capi su base mensile, soprattutto per seguire i trend dei più giovani sempre in cerca di nuovi prodotti. Ruffini ha dichiarato a Reuters che un domani potrebbe essere esteso a tutta l’offerta Moncler, un’idea ambiziosa osservata ovviamente con molta attenzione nel settore.

Giuseppe Bono, AD di Fincantieri, ritorna in top 15 dopo alcuni mesi, salendo di dieci posizioni e arrivando al quattordicesimo posto con un punteggio di 51,13 e un incremento di 2,93 punti. L’immagine del manager nell’ultimo periodo ha goduto di una esposizione mediatica rilevante per la consegna della Seaview, “la nave più grande e tecnologicamente avanzata a essere stata progettata e costruita in Italia”. La nave è stata consegnata dall’amministratore delegato di Fincantieri alla Mediterranean Shipping Company in una cerimonia con i governatori di Friuli, Massimiliano Fedriga, e Veneto, Luca Zaia.

Ennio Doris, Presidente di Mediolanum, arriva in ventesima posizione con un punteggio di 48,76 guadagnando 11 posizioni e 1,83 punti rispetto alla rilevazione precedente. L’evento in primo piano per la sua identità digitale è l’inaugurazione della Casa della Consulenza a Milano, che riunirà tutti i family banker che operano sul territorio milanese. Nella stessa occasione Doris ha presentato anche i primi due spot di Banca Mediolanum realizzati da Armando Testa, che saranno on air per un mese con un investimento di 3,5 milioni di euro. Anche Massimo Doris, Ad di Mediolanum, raccoglie il riscontro positivo di queste novità insieme ai conti positivi di Mediolanum, guadagnando 14 posizioni e salendo al 43° posto con un punteggio di 44,92 (+2,02).

Da segnalare anche la crescita reputazionale dell’Amministratore unico di Mapei Giorgio Squinzi, che guadagna 12 posizioni raggiungendo il 39° posto con 45,77 punti (+2,27). L’imprenditore, che è anche patron del Sassuolo, a giugno è stato premiato con il diploma per meriti sportivi del Master in Sport business strategies, nato dalla collaborazione fra Verde Sport, Università Ca’ Foscari e Ca’ Foscari Challenge School. Squinzi infatti è un imprenditore che da anni investe nello sport, dapprima nel ciclismo con un team che ha fatto la storia nelle due ruote e quindi nel calcio, con il Sassuolo, capace di arrivare a consolidarsi nel massimo campionato italiano, affacciandosi alle competizioni europee, con uno stadio di proprietà e progetti solidi.

La classifica completa dei Top 100 manager è disponibile su: www.topmanagers.it